Nei Casi ciclici che Max Gazzè porta in tournée teatrale i suoni si espandono come in una sinfonia. In compagni di Megahertz (theremin e sintetizzatori) Sergio Carnevale (batteria), Silvia Catasta (flauto traverso e ottavino) e il Quartetto d'Archi EdoDea il cantautore romano crea uno spettacolo speciale e sperimentale. Il concerto diventa quindi un «concept live», un «laboratorio», una nuova formula di ricerca musicale per mettere in atto l’elettromagnetismo acustico.
Sembra uno strano modo di presentare un concerto.
“E’ il tentativo di mescolare più mondi. Sul palco utilizziamo il theremin e il sintetizzatore perché il mondo delle note sintetiche si fonda con quello classico della sinfonia. C’è un quartetto d’archi che riproduce il suono di una chitarra elettrica, esperimento non facile ma con gli arrangiamenti giusti e in più la distorsione musicale si modulano le frequenze l’effetto acustico è particolare.
L’idea di portare in scena un concerto così atipico come è nata?
Lo scheletro del concerto è costituito dai brani che ho scelto di eseguire dal vivo. Poi, mentre organizzavo il lavoro complessivo si è creta una struttura circolare in cui non ci sono pause e le diverse sezioni si incrociano tra loro: ci sono interventi visivi e quelli musicali in una composizione senza un vero inizio o una fine. Si potrebbe partire da qualsiasi punto per trovare comunque una degna conclusione.
In questo particolare percorso c’è un legame tra la musica e le immagini che accompagnano le note?
Sì, ho scelto di collegare gli elementi dell’occhio e l’orecchio. In alcuni momenti io canto e il video fa da controcanto in una sorta di laboratorio alchemico da percepire con tutti i sensi.
Qual è il peso delle parole?
Ogni singolo elemento, ogni parola che scelgo di cantare, o recitare è soppesata. Non voglio nomi a vanvera, sono sempre alla ricerca delle figure retoriche giuste perché il sostantivo, il verbo, l’aggettivo non ha solo un significato ma un suono da non tralasciare. La pastosità di una pronuncia è la percezione ultima nella composizione di un testo.
E i musicisti sul palco con te come si inseriscono nel concerto?
L’idea iniziale era quella di alternarsi tra i vari strumenti presenti sul palco. L’interscambiabilità non è però così semplice, quindi nei primi concerti siamo stati più statici e collaboriamo tutti alla riuscita dello spettacolo con i ruoli classici. Sono piccoli ritocchi da mettere a punto perché l’assembramento della composizione è stato prima distinto tra di noi, poi ci siamo ritrovati insieme. Sicché capita che ci siano gioie e problematiche inaspettate. E’ anche questo il bello di questo lavoro.
C’è anche molta improvvisazione sul palco.
Certo, e sono io il primo a cercarla creando l’elemento sorpresa ai miei compagni. Lo stupore di una struttura armonica diversa da quanto prevista origina sempre e comunque una reazione. La scelta di fare il musicista significa anche questo.
Le tappe della tournée sono state fissate nei teatri delle città. Una scelta voluta?
Il teatro è un luogo che racchiude tutto, persone, pubblico, onde e note. Per questo esperimento è la collocazione giusta. Poi, non disdegno i locali e i concerti negli stadi però avevo di uno spazio che non fosse dispersivo per non rischiare di diluire il tutto.
Lontano dai concerti e dagli impegni ufficiali che musica ascolti e da cosa trai ispirazione per comporre?
Ascolto pochissima musica pop, cerco di non essere contaminato dalla radio e dai suoni commerciali. Così quando compongo non corro il rischio di avere orecchie già influenzate.
Capita che ascolti la musica sinfonica o addirittura il nulla. Da qualche anno vivo fuori dalla città e sono riuscito a creare uno stato percettivo diverso, lontano dalla alte e basse frequenze, dai rumori delle metropoli. Io ascolto la natura, perché in fondo l’uomo crea musica proprio per riprodurre quelle note che sente intorno a lui.
E dalla natura in qualche modo si arriva agli insoliti “Casi ciclici”.
Dal 28 marzo al Teatro Ciak di Milano
www.teatrociak.it/
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